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13
DIC
2021

Perdono ma non dimentico

Condividiamo con voi la riflessione di Don Mauro per la quinta settimana di Avvento.

A volte sentiamo dire, dopo una contesa affrontata, “perdono ma non dimentico”!
E’ reale in tal caso l’intenzione di perdono? Perché ribadire la colpa dell’altro se nel proprio cuore si ritiene
di aver perdonato?
Se il rancore prende radici ci troviamo in uno stato di pace interiore oppure va crescendo la rivendicazione?
Ad esempio un errore del marito o della moglie, dei figli o di altri familiari vissuto nel rancore che non è
guarito genera una distanza che potrebbe diventare incolmabile e condurre all’incomprensione totale.
San Paolo, nella Prima lettera ai Corinzi, indica la via perché il perdono sia reale e senza rancore:
“LA CARITA’ NON TIENE CONTO DEL MALE RICEVUTO, NON GODE DELL’INGIUSTIZIA MA SI RALLEGRA DELLA
VERITÀ”.
Il segreto è di lavorare su se stessi per uscire dalle forma di autoreferenzialità e di ripiegamento su di sé per
ascoltare il cuore dell’altro. Un ascolto che richiede pazienza, attenzione e profondità interiore.
Un autore scrive che “per poter perdonare abbiamo bisogno di passare attraverso l’esperienza liberante di
comprendere e perdonare noi stessi. Tante volte i nostri sbagli, o lo sguardo critico delle persone che
amiamo, ci hanno fatto perdere l’affetto verso noi stessi. Questo ci conduce a guardarci dagli altri, a fuggire
dall’affetto, a riempirci di paure nelle relazioni interpersonali.” Si ritiene così che incolpare gli altri ci rechi
sollievo ma, in realtà, entriamo ancor più in conflitto con noi stessi. Imparare a non tener conto del male
ricevuto e non godere dell’ingiustizia è possibile imparando progressivamente a guardare l’altro con
benevolenza e fiducia previa a patto, però, che siamo capaci di una certa libertà interiore nei confronti del
nostro io. L’Apostolo offre anche un ulteriore criterio per esercitare in questa modalità la carità fraterna
quando invita a “rallegrarsi nella verità”. Compiacersi della verità, afferma il papa in Amoris Laetitia, vale a
dire rallegrarsi per il bene dell’altro, riconoscere la sua dignità, apprezzare le sue capacità e le sue opere
buone, E “questo è impossibile per chi deve sempre paragonarsi e competere, anche con il proprio coniuge,
al punto da rallegrarsi segretamente per i suoi fallimenti”.

Don Mauro