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19
GEN
2020

Verso la settimana dell’educazione

Durante il “Buongiorno” dei lunedì di Avvento bambini e ragazzi sono stati accompagnati da Don Nazzareno. Quella che condividiamo oggi è una sua riflessione che è stata pubblicata su “Camminare insieme” della Comunità pastorale Paolo Vi ed è rivolta a tutti gli educatori.

Dialogo non troppo ipotetico: “Don, gli dica qualcosa, vuol venire all’oratorio estivo solo due giorni a settimana. Ma noi lavoriamo e i nonni sono anziani. Non so cosa fare don. Del resto, lui ha deciso così…”. Età di questo “lui”: sette anni, seconda elementare. E quante volte, durante l’anno catechistico, alla domanda sulle ripetute assenze giunge la risposta rassegnata del genitore: “non voleva venire…”. Anche nel mondo scolastico spesso si sono sentite espressioni di questo tenore. Celebrare nella Chiesa la settimana dell’educazione ci permette di rispolverare una riflessione educativa. Educare significa far sì che la persona sia capace di decidere di sé, di fare le scelte giuste, nel rispetto di sé e degli altri. Questo comporta inevitabilmente molto esercizio, fin da piccoli, perché pian piano nel bambino cresca l’autonomia e la capacità di orientare la sua libertà nella giusta direzione. È evidente che perché questo processo avvenga è necessario che i genitori facciano i genitori, che il registro paterno e materno funzionino, che i bambini imparino, in primis grazie all’esempio delle figure adulte e alle parole che accompagnano le azioni, spiegandole e dando loro senso, a rendersi conto di cosa comporta una decisione piuttosto che un’altra, per poi compiere la scelta. Dieci anni di prete e prete in oratorio; ho sempre più spesso la percezione che questo processo, già per sé delicato e impegnativo, spesso salti fin dalla partenza. Come è possibile che un bambino di sette anni tenga in scacco la sua famiglia? Come può un bambino dei primi anni delle elementari decidere da sé ciò che è giusto o non è giusto fare e il genitore abbassare la testa di fronte all’onnipotenza acquisita del figlio? La questione è seria, serissima, tanto che rischia, per quanto mi sembra di poter constatare dal mio piccolo osservatorio di due oratori, di diventare un serio problema, perché se ne parla spesso, ma lo stile educativo pare non cambiare. Eppure, i risultati di una non educazione al buon esercizio della libertà sono visibili a tutti. Senza arrivare a casi di vero e proprio bullismo, si vede spesso la tendenza a trasgressioni sempre più pericolose da parte di ragazzini, al loro atteggiarsi da adulti fin da preadolescenti (evidentemente imitando soltanto comportamenti adulti, e nemmeno da adulti maturi), alla perdita del senso del limite, alla ricerca della sfida nei confronti delle figure educative che la società mette a disposizione. Senza un’educazione che riconsegni ai genitori il loro ruolo di decisione sui figli, che devono imparare a decidere con gradualità e in proporzione alla loro età e non tutto fin da quando hanno il dono della parola, i problemi continueranno. E noi cristiani, cosa possiamo fare? Io, prete che posso fare? Anzitutto non avere paura di dire il giusto, di dare valore e esigere rispetto ai sì che servono e ai no necessari; senza imporre, ma spiegare; senza giudicare, ma accompagnando chi ti sta davanti. Anche se ti provoca e ti sfida. Servono luoghi qualificati, seri e propositivi. Chiari nell’impegno e fedeli alla missione per la quale esistono: scuole, oratori, centri di incontro e aggregazione. Servono esempi che non tanto trascinano, ma pongono domande, ti chiedono di fare un confronto. Ti spingono a non temere la fatica, ma ad affrontarla e a farla diventare un’occasione per crescere. Gesù e i grandi Santi dell’educazione ci sono di esempio, conforto e intercessione.